Oggi sono stanco. Ma pure ieri ero stanco, e probabilmente lo sarò anche domani. A dirla tutta è qualche settimana che sono molto stanco, e andrebbe anche bene se le mie giornate fossero piene di cose fatte, di sforzo fisico, di concentrazione mentale. Invece, in questa situazione di clausura forzata, la stanchezza ti assale subdola, travestita da voglia di perdere tempo, e dietro la sua maschera si nasconde l’apatia.
Non è facile starsene chiusi in casa con il coprifuoco da oltre due mesi, e avere una prospettiva di almeno altri due con questa situazione. Inoltre da qualche giorno siamo anche confinati all’interno della nostra città. Grande, se fortunati, piccola, per la maggior parte di noi stanchi.
Tutto lo sfogo si concentra in qualche ora di attività fisica intensa, e in qualche ora di attività intellettuale intensa. Le due cose sono solitamente intervallate da un caffè che consente di sopravvivere al momento di abbandono che, seducente, arriva verso ora di pranzo.
La stanchezza si trasforma, poi, in disagio fisico. Dolori alla schiena, dovuti a cattiva postura; capelli in disordine e poca voglia di darsi un contegno; carnagione tendente al grigio perché non si vede il sole da un bel po’; polmoni che chiedono pietà alla seconda rampa di scale. Ma soprattutto, non si dorme.
Ci sono dei momenti in cui sei sul divano, e non dovresti dormire, in cui vieni assalito da un sonno irrefrenabile. E poi invece, quando è ora di andare a letto, niente. Il soffitto, i pensieri, il buio. Nemmeno le macchine che passano, perché c’è il coprifuoco. La musica non aiuta, leggere men che meno. E se provi a guardare qualcosa in TV allora si fa mattina. La stessa TV che ti aveva ammaliato e buttato giù qualche ora prima, sia chiaro.
Tutto questo disagio si ripercuote, attraverso un filo rosso e argento che abbiamo acclarato esserci, ed essere ben teso, su chi dall’altro capo del filo si trova. Non dico che accada a tutti, ma a me accade. E questo crea ulteriore disagio, perché io so che il mio disagio fisico crea disagio fisico ad un’altra persona. L’ulteriore disagio si trasforma in tensione, la tensione non fa dormire, non dormire ingenera stanchezza, la stanchezza produce disagio che a sua volta si trasforma in tensione, e così via.
Spezzare l’anello è indispensabile. Troveremo la strada, come sempre. Occorre respirare, probabilmente, aria di mare per una giornata. Ma il mare non c’è, qua, nella mia città. Allora aria di montagna, che non c’è lo stesso. Campagna. Quello che si trova. Annusare i ciclamini selvatici. Sentire l’odore della terra bagnata. Guardare le foglie marcire. Camminare a lungo.
Sempre che non piova o ci sia vento fortissimo. Perché sì, pure il tempo ci si mette. E da questa parte del filo c’è il tempo. Dall’altra c’è il tempo e la terra che si diverte a sussultare e a fare paura.
Non dobbiamo lamentarci. Dobbiamo adattarci. Dobbiamo guardare quello che abbiamo, piegarlo alle nostre esigenze, trovare la via più giusta. Non è mai facile, ma è assolutamente indispensabile e soprattutto possibile.
Cominciamo a dormire meglio. Cominciamo a far scorrere i pensieri, senza soffermarci. Cominciamo a riprendere dei ritmi adatti a questa situazione. Senza mai dimenticare chi, dall’altra parte del filo rosso e argento, fa lo stesso, in attesa che possa anche davvero essere un giorno in meno. Solo un giorno in meno.