Che poi alla fine ‘sti cazzi. Tu pensi che, con gli anni, i rapporti possano mutare, che le persone possano diventare più sensibili, che magari possano guardarsi indietro e capire quanto siano state poco empatiche, tanto anaffettive, e che possano rivalutare il proprio comportamento adeguandolo alla consapevolezza di aver sbagliato, di essersi imposti una qualche aridità di sottofondo.
Poi ti trovi a verificare sul campo che nulla è cambiato. Provi di nuovo quelle brutte sensazioni di legacci e prigionia di quando eri adolescente, di quando eri uno studente e cercavi di trovare la tua strada, ed era sempre una costrizione, una mortificazione, un’imposizione di un modo di vedere le cose. Hai sospeso il giudizio per anni, ma poi hai capito che, alla fine, quel modo è sbagliato.
Fai tanta fatica, te ne vai, diventi una persona migliore, meno rancorosa, meno arrabbiata, pronta a crescere e a migliorare. Ti impegni nel tuo lavoro, hai successo, capisci chi sei. E ancora niente, nessun riconoscimento. E lo dico senza pretese, giusto un’osservazione dei fatti.
E allora poi no, non va bene che si ritorni a quelle sensazioni brutte. Quindi, alla fine, ‘sti cazzi. Io fra qualche giorno me ne vado in smart working. Lontano da qui, vicino a chi merita qualcosa di bello e di memorabile. Quindi prendiamo queste poche ore come un monito: nulla, nulla più potrà farti ripiombare laggiù.
Fate come cazzo vi pare. ‘Sti gran cazzi, davvero. E andate tutti a fanculo.