Davvero pensavo di essermela lasciata alle spalle, quell’aura decadente e negativa che avevo a vent’anni. E invece no: è infame, subdola, sempre presente, e si manifesta quando non è attesa. Che poi un po’ mi piace pure, di fare quello maledetto, solitario, dannato. Ma di farlo, non di esserlo. E ormai, alla mia età, lo so che fondamentalmente non sono così. Certo, una vena di nero c’è, come può non esserci in chi vive in questo mondo.
Ma alla mia età ho anche gli strumenti per capire. E se c’è un raggiro dell’Universo in atto, io so riconoscerlo, so analizzarlo, scomporlo, rimettere in ordine i pezzi, trovare una forma dinamica che mi consenta di essere pronto e di andare avanti.
La mente è strana. Comincia col sovrapporre situazioni note e già vissute, affini a quella che si sta vivendo, e ti riporta delle sensazioni dimenticate. O meglio, non dimenticate. Le posso osservare ogni giorno, ma con il dovuto distacco. Quando invece, all’improvviso, ti invadono senza motivo apparente, il primo lavoro da fare è cercare proprio il motivo. E il motivo è che l’Universo si sta prendendo gioco di me.
Sentirsi straniero in terra straniera, sentirsi diverso, aggiungiamoci pure un bel gap generazionale. La festa, l’alcool, la musica. L’autoreferenzialità delle persone quando sono in gruppo, l’incapacità di lasciare andare le sensazioni e vivere il momento, perché il momento proprio non ci piace. Le buone maniere, l’incapacità di non essere gentili, di non essere quello che si è.
Alla fine tutto si risolve con un paio d’ore di full immersion in una seduta di autopsicanalisi, durante gli eventi, finché non si è pronti a dire “Ok, ciao, ci si vede domani. Questo è il mio gin caldo con la soda calda, io non lo bevo. Andate a fanculo, io me ne vado a casa”. Con le dovute maniere, naturalmente. Senza urtare la sensibilità di nessuno.
E poi bastano cinque minuti cinque di camminata per scoprire le carte dell’Universo. Carte stupide. Carte banali. Carte che non lo portano da nessuna parte, perché alla fine io ho una mano migliore e me la gioco tra qualche giorno.
E già, perché alla fine mi sono rimasti una domenica e quattro giorni di smart working. Poi ciao ciao fino a metà agosto. Me lo merito, direi. Tanto. E non solo io. Intanto scomodiamo Baudelaire e Les Fleurs du mal, che, a quindici anni, hanno cominciato a svelare le carte dell’Universo. E ancora funziona bene.