Mentre perdevo tempo (malissimo) con il telefono, mi è capitato sott’occhio un video di un tale che spiegava gli effetti dell’alcool sul cervello, e perché abbiamo i sintomi della sbornia la mattina dopo. Ebbene, si è fatta strada in me una voglia di bere un whisky qualunque, uno di quelli che non ti ci vai a comprare la bottiglia, ma che ti trovi a casa perché qualche parente o amico, con ingenua imperizia, pensava che ti sarebbe potuto piacere.
Il tizio diceva inoltre che assumere alcool rende il pensiero più lucido, perché sfrondato da tutta la sovrastruttura che normalmente il cervello abbina ai concetti semplici. Con il rischio, però, che poi possiamo sentenziare, ripetutamente, sempre la stessa cosa, pensando chissà quale verità scritta sul marmo ci sia stata rivelata.
Mettiamo insieme a queste cose qua l’esigenza di focalizzare, di razionalizzare alcuni tormenti che, ancora, non fanno dormire. Probabilmente non è la strada giusta, e no, non fatelo a casa. Però mi sono versato due dita di pessimo whisky con l’auspicio che possa far fluire meglio qualcosa che ho da esprimere ma che non riesco a far venire fuori in modo corretto.
Beh, fin qua il risultato non è granché: tre paragrafi di introduzione e ancora non c’è il vero argomento da trattare. Sembra più un flusso di pensiero, ma va bene così.
Non ho più la Fiesta. Dopo che si è rotto il cambio lo scorso luglio e me lo sono riparato da solo, l’ho mandata a rottamare e mi sono preso un gippone. Non della Jeep, sia chiaro, ma un gippone. Grosso. Perché in cuor mio io devo viaggiare e devo andare in alcuni luoghi non proprio vicini. Perché c’è un percorso cominciato a piedi più di trenta anni fa che ancora non mi vede arrivare a destinazione. Allora ci vado in macchina. Col gippone. Prima o poi.
A volte penso che non importa il modo in cui si affronti una relazione: di amicizia, passionale, di affetto e rispetto reciproco, di follia pura solo per far dispetto a quell’Universo che dispetti ne ha fatti a bizzeffe. Alla fine ti ritrovi qua, con un gippone parcheggiato e un whisky scadente nel bicchiere (ormai vuoto, occorre un refill) che ancora non conosci bene la destinazione. Cioè, sai dove devi andare, cosa devi fare, ma non sai quando andrai e quando lo farai.
E intanto, mentre aspetti, viene a mancare tutto. Manca il tempo, manca l’intimità, manca quello che pensavi fosse indispensabile, e che scopri, di nuovo, essere non tanto indispensabile quanto qualcosa a cui aspirare. Di nuovo. Una vita ad aspirare per poi vedere dissolversi tutto, da un giorno all’altro, senza un motivo.
Ma non oggi. Oggi abbiamo solo un filo d’argento e rosso molto più lasco. E abbiamo un gippone nuovo di pacca pronto a riavvolgere il gomitolo. Prima o poi.