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Bora

Trovo curioso che, dopo il gran caldo, quando sembrava che potesse finalmente migliorare un po’ la situazione climatica qua dove sono in smart working, sia stato di nuovo costretto a restare chiuso in casa.

Aspettavamo un po’ d’aria dal nord, ma invece è arrivata la bora. Conosciamo la storia di Bora, la figlia selvaggia del vento. Ma ci piace raccontarla di nuovo, perché ci sono un sacco di cose interessanti da immaginare.

Insomma, c’era un altopiano che portava verso il mare, e Bora, affascinata dal bel paesaggio, decise di correre giù, soffiando sulle nuvole e facendosi largo nel cielo. Poi, stanca, si rifugiò in una grotta, dove stava riposando Tergesteo, un eroe sulla via del ritorno dalla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro. Tergesteo era bello, non bellissimo, ma forte e affascinante. Si innamorarono di colpo, e trascorsero nella grotta sette giorni. Sette felicissimi giorni.

Ma poi Vento (un po’ lento, direi) si accorse che Bora non era tornata. Si mise a cercarla e una nuvola infastidita da Bora gli svelò dove si nascondeva. Vento, da bravo padre padrone, si fiondò nella grotta, fece un turbinio assurdo, sbattendo il povero Tergesteo sulle pareti della grotta finché lo lasciò senza vita. E poi, sti cazzi di Bora, se ne andò senza dire niente, lasciandola là.

Bora cominciò a piangere, e ogni sua lacrima si trasformava in pietra. Madre Natura, allora, un po’ preoccupata non tanto per Bora quanto perché le si stava modificando il paesaggio roccia su roccia, fece nascere dal sangue di Tegesteo il sommaco, per tingere di rosso in autunno quello che era diventato il Carso. Inoltre, furbamente, concesse a Bora di rimanere là, vicino ai fiori rossi che erano l’essenza del suo amato.

E niente, Bora continuava a piangere e a fare rocce con le sue lacrime. A quel punto gli dèi intervenirono: Eolo concesse a Bora di rivivere, ogni anno, quei sette giorni, mentre Nettuno fece ricoprire dalle onde il corpo di Tegesteo di conchiglie, di alghe, di stelle marine così da farlo diventare un bellissimo colle. Bora, a questo punto, smise di piangere, ma l’eco del suo lamento continua a risuonare, ogni tanto, quando la tristezza l’assale.

Si vede che, per un paio di giorni, dovrà andare così. Poi il lamento finirà, e io magari riuscirò a lavorare in pace, senza intemperie, in quel giardino qua sotto.

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