Succede, in certi momenti, che ci si dimentichi di chi si è. E pazienza, l’importante è che poi ci ricordiamo di ricordarci chi siamo. Poi succede che ti accorgi che ti stai dimenticando di qualcosa. Magari proprio in nome del ricordare chi sei, chi eri e da dove vieni. Che non è necessariamente lo stesso posto e lo stesso tempo per tutti. Ciascuno di noi ha un passato, una provenienza, una formazione che non deve essere dimenticata.
Succede, quindi, che potrebbe capitarti di vivere un momento di euforia, di coinvolgimento, di sbandamento. Oppure semplicemente un momento in cui sei più fragile, più sensibile, più bisognoso di costruire, anziché di ricordare.
Poi ti accorgi che ti stai dimenticando un pezzo. Quello che sei diventato, non più quello che sei e da dove vieni. E mai errore più grande è quello di cedere alla dimenticanza, perché quello che siamo oggi non eravamo ieri, e il merito è di oggi che è passato e ci ha dato qualcosa di nuovo.
Ti dimentichi di dire buonanotte e buongiorno a chi vuoi bene, ti dimentichi dei rituali che fino a qualche tempo fa erano imprescindibili, ti dimentichi di andare a vedere se c’è qualcosa di nuovo dove prima andavi tutti i giorni. Te ne dimentichi a lungo. Ti dimentichi gli appellativi, ti dimentichi i vezzeggiativi, di fatto ti stai dimenticando quel pezzo di intimità che tanto avevi faticato a costruire.
Che dire, è un gran peccato. Eppure va così. Sempre è andata così. Non credo sia una cosa che si possa cambiare, è insita nello spirito e nell’animo dell’uomo. Però è difficile farci i conti. Perché io, proprio io, sono uno che non dimentica, e come dicevano quelli bravi, nella mia mente ogni cosa sopravvive in silenzio.
Quando poi il silenzio chiede più spazio di quanto gli debba essere concesso, allora scattano i meccanismi di difesa. E quindi io faccio finta, a mia volta, di dimenticarmi. Anche se no, anche davvero, io non dimentico niente.