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Driving Around

Pensi di essere ancora giovane. No, in realtà non lo pensi, sai bene di non esserlo più. Però hai il bisogno di misurare, di nuovo, i tuoi limiti fisici. Perché è importante conoscersi, imparare di nuovo cosa aspettarsi e cosa no, dal proprio corpo.

Progetti dunque la circumnavigazione del mare Adriatico. Perché per andare in smart working hai alcune opzioni: prendi un aereo, ci metti un’ora, ma poi i bagagli, chi ti porta all’aeroporto, chi ti recupera, poi là come ti muovi; attraversare il mare: macchina e bagagli ok, ma devi comunque guidare un sacco per prendere un traghetto lento, di notte, con date non versatili. Ultima opzione è fare il giro, come da ragazzo, come fece Giovanni qualche decennio fa, in una Fiat Regata, in sei, a 110kmh. E guidava soltanto lui.

Ok, quindi, pronti via, che sarà mai, millecento chilometri, una decina di ore. Hai fatto consigli comunali ben più faticosi. Ma eri più giovane.

Quasi le sette, mettiamo il giornale radio. E il segnale orario della radio Rai è sempre lo stesso. Bello. La sigla del GR però no, quella è cambiata, più moderna (e brutta). Non è cambiato nemmeno lo stacco pubblicitario tra il giornale e la parte sportiva. Però dopo oltre cinque minuti di reclame anche no, la parte sportiva non la sentiamo. Sti cazzi. Abbiamo cose moderne, tipo Spotify e i podcast che parlano di basket. Bella per Mamoli e Soragna, che mi allietano per un’ora con la free agency. Gallinari ai Celtics? Si può fare.

Intanto intorno è tutto bruciato, di un giallo chiaro, quasi bianco, che fa male agli occhi. Forte è il contrasto con gli alberi ancora verdi, per fortuna, ma non è un bel periodo. Il caldo è devastante, la siccità è una piaga. Le rotoballe dappertutto rischiano di prendere fuoco e fare un disastro. Ma un disastro vero, come in questi giorni intorno a Roma è già successo più volte.

Poi la macchina di Giovanni, riparata, messa a punto, con l’aria condizionata che lavora alla grandissima. Tutto bene, direi, si tratta di superare Bologna, magari Padova e poi un bel caffè. Ma sono anziano. E devo andare al bagno. Eh, tenerla per 500 chilometri non è così facile, a cinquant’anni.

A ora di pranzo, in perfetto orario di tabella, supero il confine. E la magia. Ancora la magia di trent’anni fa. Si passa da un territorio fortemente antropizzato a qualcosa di selvaggio, una striscia di asfalto nella natura. Beh, non ci sono più le linee esterne gialle come quando ero bambino, ci sono gli autovelox, ma la sensazione di stacco è sempre molto forte.

Un boccone veloce, un caffè molto cattivo dopo il secondo confine (dove c’era ancora la frontiera, che non avrebbe dovuto esserci, ma si sa, sono popoli nazionalisti) e poi di nuovo l’autostrada. Con la follia dei limiti di velocità. Dove 110, dove 120, dove 100, dove 80. Occhio al cartello eh. Poi, dopo un centinaio di chilometri, decido di affidarmi ai locali. Se loro vanno, posso andare anche io. Così, giusto per accorciare il tutto di un’oretta (ah, se lo avessi fatto prima, ma prima l’autostrada era deserta).

Poi gli ulivi, i muretti a secco, le strade strette, quasi un piacere andare lenti, se non fosse per il caldo atroce che ti costringe a non aprire i finestrini. L’odore del mare, l’aria carica di umidità e di salsedine, e finalmente trovo il mio terzo fratello, che da bravo fratello mi fa ubriacare con del liquore a digiuno in due minuti e mezzo. Gli voglio bene, a quel fratello, anche se non lo conosco davvero.

Ora che si fa, mi mangio di tutto come quando ero giovane? No, ho tempo. Sono in smart working. Una cosa per sera, senza esagerare, e non più di una birra. Barbara. Perché i sapori e gli odori devono legarsi al luogo di appartenenza. E intanto scorre una musica country, ballate locali, molto brutte ma molto belle, proprio perché locali, e appartengono a questa terra e a questi colori.

Da domani si torna a lavorare, in attesa di poter, finalmente, staccare la testa.

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