A volte vale davvero la pena aspettare un po’. E non fa niente se un po’ diventa un po’ più di un po’. Tipo trent’anni. E non fa niente neppure che l’Universo si sia messo di mezzo più di qualche volta. Lo possiamo dire, ora che ci guardiamo indietro senza rancore, ma, davvero, quanta fatica fatta, quante stanze buie, quante luci spente, quanti buchi profondi e neri abbiamo dovuto superare.
Non fa niente. Perché quello che è il cerchio della vita, come lo chiama una ragazza a me cara, alla fine è sempre un cerchio, e non importa quanto ampio sia.
Aspetti per tanto tempo, fai tanta tanta fatica, ma poi rimane quello che deve rimanere.
Un fiore che torna ad accoglierti al tuo arrivo; qualche parola davanti a chi non c’è più; i sorrisi e gli sguardi che mettono a nudo l’anima; Roma che non ha fatto la stupida, stasera; una cena in un posto caratteristico; un borgo antico e un lago coi fiori, le fragole e la crema; i posti brutti attraversati in macchina; i tonnarelli impastati; i capelli bagnati e il regno del selvaggio; la meraviglia delle pitture rinascimentali in luoghi sacri; le mani giunte; un buon vino bianco e del whisky torbato; un borgo antico e un lago più grande, un po’ depresso ma sempre molto bello; l’intensità e il feeling; un caffè e una macchina danneggiata; gli spaghetti con le vongole; un giro nel parco di prima mattina dopo una colazione dolce; il senso di completezza e di vuoto assieme.
Tu lo sai, io lo so, noi lo sappiamo: ritrovarsi e poi trovarsi non è così scontato. Ma forse, davvero, non ci siamo mai persi. Ci siamo soltanto bendati, ballando in una stanza buia, senza sapere di essere così vicini.
E l’Universo, ora, sembra un po’ più benevolo. Certo, deve sempre metterci del suo, ma almeno lo fa in momenti che non intralciano il nostro percorso e che, anzi, paradossalmente, lo facilitano.
Ora non rimane che contare altri trenta giorni, non più trent’anni. E cominciamo ora. Uno…