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I Remi e la Barca

Erano gli anni ’70, o gli inizi degli ’80, e allora gli sport, per i bambini, erano il nuoto, il tennis, il calcio. Quelli un po’ più grossi facevano rugby. Poi è venuta la pallavolo, per le ragazze, dopo che la TV ha trasmesso Mimì Ayuhara (che poi scopriamo chiamarsi Kozue). Basket nemmeno a parlarne.

Così ho preso i miei brevetti da nuotatore, senza mai aver imparato il delfino, ho giocato a tennis con scarso successo per qualche mese, a pallone ci giocavo per strada e quando eravamo fortunati e il prato era libero al parco. Poi mi sono ribellato e a quattordici anni ho preso il pallone da basket. Avevo visto le finali NBA tra Houston e Boston, e mi ero innamorato del gioco, prima ancora che di quello biondo col 33. Ma non è questo il punto.

Abbiamo un bel lago, in zona, dove si fa canottaggio. Ma nessuno lo sapeva, a quei tempi, almeno nella mia famiglia. E, seppure lo avessero saputo, figuriamoci se mi avrebbero portato fin là a fare gli allenamenti. Eppure è una cosa che mi sarebbe piaciuta tantissimo. Un po’ come sciare. Tu sali sulla barca, hai il tuo remo, o due, chi lo sa, e quello che senti è solo il rumore dell’acqua che muovi. Come quando sei sullo ski-lift a metà percorso e senti la neve che scrocchia sotto gli sci nel silenzio assoluto.

Sali sulla barca, c’è il sole, c’è da faticare, e tanto. La schiena dritta, le spalle larghe che si fanno forti, il petto ampio, op, op, op. Ritmo. Come nella musica. Non puoi perdere il ritmo quando suoni. Capitava al nostro chitarrista e le bestemmie si sentivano fino al fonico. No, devi contare il tempo, lo devi scandire e per bene. Op, op, op…

Il corpo si rinvigorisce, la mente si libera, la fatica è catarsi, i muscoli si gonfiano, il sudore ti permea la pelle e i capelli. L’acqua, dolce, sotto di te. E il sogno di quei laghi artificiali, lunghi, dove si fanno le olimpiadi. Ne ho visto uno splendido a Windsor, e là ci fanno le gare storiche tra Eton e Oxford, con quei ragazzi che vivono in collegi esclusivi, privati di ogni comodità, per diventare uomini veri. Come se il prestigio di ciascun collegio derivi dal risultato della sfida. L’agonismo e lo sport per il loro semplice fine, niente soldi, niente notorietà. Solo il fottuto avversario da battere con cui poi andiamo a bere assieme.

Ne ho visto un altro, di lago del genere. Certo, meno affascinante di quello inglese, ma comunque importante per la mia formazione. Ecco, mi sarebbe piaciuto arrivare là, noleggiare una barca, e percorrerlo tutto, mentre la gente al sole si godeva la bella giornata d’estate. Meglio della meditazione, meglio dello yoga, meglio di qualunque altra cosa.

E l’energia dei 20 anni, da spiegare con il vento, sotto il sole torrido, magari per gli occhi d’oro di una ragazza che là, a bordo riva, prendeva il sole. Con l’ìdea che ogni vogata, ogni spinta, era un passo in più per raggiungere il suo cuore.

Oggi mi trovo ad esercitarmi in palestra su un vogatore, e la mia mente, mentre guardo il display che mi indica le battute, i metri percorsi, la forza di ogni battuta, va su un lago qualunque, dove l’acqua spostata è l’unico, inebriante suono che importa. Per dare ritmo, per dare pace all’anima.

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