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La sedia nel prato

Quando mi imbatto in un romanzo che segue la tecnica del flusso di coscienza, mi chiedo sempre quanto sia difficile, almeno per me, arrivare alla scrittura senza elaborare il pensiero e coordinare le frasi. Eppure tendo a scrivere di getto, senza organizzare quanto dovrò dire. Ma non basta. Mi convinco sempre di più che scrivere in quel modo sia frutto di un primo assemblamento e poi di una successiva rielaborazione finalizzata a destrutturare il tutto, dandogli comunque un senso logico.

Dovrei pensarci, ma non mi va. Perché poi quando arrivano i fantasmi, arrivano, senza starti a spiegare il perché, ed è inutile pensarci, non ha senso, prendi solo atto che ci sono, nemmeno vale la pena combatterli, ti trovi a razionalizzarli e loro sono sempre più presenti, finché poi un bel giorno, che chissà quando arriva e come, hai la sensazione di avere tutto chiaro e allora spariscono, come una candela sotto al sole che non fa più luce, o almeno sembra che non ne faccia. Potremmo calcolare quanti lumen aumenta una candela la visibilità sotto la luce del sole, e fino a che distanza, tenendo dunque come parametro la distanza tra la fonte di luce e gli ostacoli che si frappongono, per prima l’atmosfera, quindi la luminosità aggiuntiva, sebbene impercettibile, sarà limitata nello spazio.

Ok, come flusso non era malaccio, ma comunque non ha un senso.

I fantasmi vengono di notte. O meglio, all’alba, di solito. Arrivano, non richiesti, fanno il loro, ovvero ti turbano, non se ne vanno finché non decidi tu di mandarli via. Eppure ne senti la presenza, come se fossero reali, e dura per un bel po’. Tanto quanto è sufficiente a metterti di cattivo umore, ad affrontare la giornata nel modo sbagliato e a lasciarti un gran mal di testa.

La mente dell’uomo è strana. Ci sono stati scienziati che hanno studiato la psiche, e via di menate quali l’inconscio, il subconscio, l’ego, l’es, e chissà quali altri strati hanno tentato di identificare. Meccanismi di difesa, dicono. Poi vai a dormire e tac, ecco che i muri cadono e i fantasmi arrivano. E niente, finché non capisci da sveglio che cosa significano e perché si palesano, torneranno a rompere i coglioni costantemente.

Ognuno di noi ha i propri fantasmi. Belli, brutti, stronzi o gentili. Ma comunque fastidiosi.

Soltanto la consapevolezza di quello che siamo, di dove veniamo, di dove stiamo andando può aiutarci a capire e a superare le nostre angosce. La consapevolezza di uno scopo, di una presenza, di qualcuno per cui vale la pena lottare. La consapevolezza di sé e la consapevolezza dell’altro che è comunque te.

Non so quanti abbiano una tale presenza di spirito che li porti ad essere solidi e determinati. Pochi, probabilmente, altrimenti non vedremmo persone deboli, depresse, che si lasciano andare perché si sentono oramai inutili, o stupide, o incomprese. Si muore da soli, questo è certo. Ma si vive prima per sé e poi per l’altro sé. Se si raggiunge questo equilibrio si evita di essere egoisti o di annullarsi per gli altri. Se si raggiunge questo equilibrio si aspira ad essere felici.

Sedersi su una panchina e guardare oltre, o in una veranda, o davanti al camino. Sicuri di quello che si è, di come lo si è diventato, di quello che vorremo essere. Solo così puoi guardare serenamente quella sedia arrugginita nel prato, rotta, che è il fantasma dell’angoscia umana, e che, di notte, qualche volta viene a dare fastidio. Non per molto, però, perché io so, noi sappiamo.

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