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Non avere paura

Ho finito una bottiglia di bourbon. Beh, non tutta stasera, ne era rimasto giusto un po’, però è andato liscio come di solito accade con qualcosa di più leggero. Un buon modo di chiudere l’anno. Togliere di mezzo il bourbon e passare definitivamente allo scotch dell’isola di Islay. Quello torbato, quello che si sente il sale sulla lingua, quello che il fumo ti rimane dentro.

Il whisky è una parte di me piuttosto recente, da ragazzetto non è che bevessi di questi distillati. Sì, un po’ di vodka quando capitava che si andava a farci male con gli amici, ma è successo davvero di rado. Non per questo oggi non bevo più vodka. Capita ancora, sebbene sempre di rado, perché in fondo mi riporta alla coscienza sensazioni e momenti. Brutti o belli non importa, rimanere connessi è sempre una gran bella cosa.

Siamo cresciuti, uno strato sull’altro, ormai tanti strati che è difficile vedere quello che c’è sotto. Rimane però indispensabile e importante poterli sollevare, gli strati, altrimenti si diventa un blocco unico con un’unica faccia rivolta verso l’alto. E tutti gli strati sotto appesantiscono quello che si vede, senza dimostrare una qualche utilità. No, io voglio poter vedere ogni singolo strato, sapere quando e come si è formato, e perché è ancora là, a comporre quello che io sono adesso. L’ho detto, è davvero molto importante avere coscienza di quello che si era, di quello che si è e di come si è arrivati dove siamo.

Ci sono, per esempio, quei luoghi che odiavi da bambino. Come ci sono quelli che hai amato. Per motivi diversi, non importa quali luoghi siano o quale reazione tu abbia avuto nei loro confronti. Ogni luogo ha il suo odore. Quello no, non cambia. Possono passare gli anni, cambiare i sentimenti, l’affinità, la disposizione d’animo. Ma l’odore rimane quello. Ed è come se sia stampato nei nostri ricordi, pronto a scattare quando arriva, inaspettato, ma anche atteso. Sì, perché tu te l’aspetti, ma non arriva. Poi, a un certo punto, bam. Eccolo là. L’odore del luogo. Quello che ti riapre un mondo davanti. Quello che ti riporta a momenti precisi, a sensazioni istantanee, e ancora, non importa se belle o brutte.

Cosa ci facciamo noi con quell’odore? Potremmo lasciarci andare alla nostalgia, oppure rifiutarlo perché ci riporta cose che non ci piacciono, oppure ignorarlo. No, questo mi sa che non è possibile. Diciamo allora che possiamo osservarlo, in qualche modo, capire cosa ci fa, come interagisce con noi, e perché. Dopodiché dobbiamo semplicemente tenere a mente che siamo in quel luogo, con quell’odore, ma in un altro tempo. Con strati su strati addosso, con un vissuto importante sulle spalle. E che siamo pronti a vivere di nuovo quel luogo. Non a cancellare o a rivivere quello che è stato. Semplicemente vogliamo sperimentare qualcosa di nuovo, associare quell’odore a sensazioni diverse, fare un esercizio di riscrittura. Ma mentre lo facciamo siamo consapevoli che qualcosa ci culla, dentro, qualcosa di conosciuto, di affidabile. Quello è l’odore, quello è il luogo. Quella è la differenza tra tornare e andare a visitare un posto nuovo. Il posto nuovo avrà il suo odore, ma noi ancora non lo conosciamo. Siamo aperti ad esso. Il posto in cui si ritorna ci accoglie, ci abbraccia, ci coccola, sempre pronto a tradirci. Ma non è lui che tradisce. Siamo noi che non dobbiamo avere paura.

Siamo stati quello che leggiamo qualche strato sotto. Su quello strato si appoggiano i successivi, e ci portano ad essere quello che siamo ora. Non possiamo mai pensare di tornare ad essere quello che eravamo. Eppure tante volte diciamo “ah, se avessi di nuovo vent’anni…” Facile a dirsi, perché diamo per scontato di avere di nuovo vent’anni con l’esperienza e gli strati che oggi ci portiamo dietro, e questo non è possibile. Pensiamo un momento di tornare a vent’anni, con le nostre insicurezze, con la nostra inesperienza, e diciamocelo. Ma davvero vogliamo tornare là? Non è meglio quello che siamo oggi? Non sarà ancora meglio quello che saremo domani?

Ecco, dobbiamo prendere dal nostro passato, dai luoghi, dalle esperienze, l’odore. Prenderlo indietro, perché è prezioso e ci aiuta a riconnetterci. Ci aiuta a vivere meglio quello che sarà, e di certo non si aspetta di farci rivivere quello che è stato.

Ricevere una lettera, oggi, non è lo stesso che aver ricevuto una lettera circa trent’anni fa. Anche se le forme sono le stesse. Anche se siamo sempre noi a scriverla o a leggerla. Qualcosa sarà cambiato, ma la lettera ha il suo odore, che non è quello della carta e dell’inchiostro. Quello c’è, ed è molto bello ed evocativo, ma l’odore è tutto l’insieme di quello che è stato, di quello che è oggi e di quello che sarà. Non dobbiamo avere paura. Siamo sempre noi. Qualunque cosa succeda siamo sempre noi, con i nostri strati in più, pronti ad aggiungerne un altro sopra a questi.

Se ne va un anno in meno. Un anno in meno è fatto di giorni in meno. Un anno brutto o bello, non importa. Un anno che si è portato via tanto, ma che alla fine ci ha dato tanto, in termini di consapevolezza, capacità di guardare alla vita, disposizione all’adattamento. Abbiamo dovuto adattarci tanto. Abbiamo dovuto aspettare. Abbiamo dovuto dire che siamo pronti a fare un casino ma in realtà non lo siamo. Vedremo semplicemente cosa succede, un giorno in meno contato in più, un passo alla volta, lungo il nostro sentiero.

I treni ricominceranno a viaggiare, e mai da soli. Qualcuno, nei treni, ci sarà sempre. E vedrà posti nuovi e posti in cui è già stato. Scoprirà odori nuovi e riscoprirà odori già sentiti. Senza mai avere paura. Mai.

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